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La parità di genere nel lavoro

Come riporta  “Il Sole 24 Ore”, nei Paesi dell’Ocse i divari tra i sessi generano una perdita media di reddito del 15%, mentre la parità si associa a più alti livelli di sviluppo. Da una minore disuguaglianza di genere risulta un reddito pro capite più elevato. «La parità di genere nei diritti e nelle opportunità si associa a livelli più alti di sviluppo economico, migliora la mobilità sociale, promuove l’inclusione, stimola la crescita attraverso un migliore utilizzo delle competenze e una migliore allocazione della forza lavoro», dichiara il Presidente del Cnel, Renato Brunetta. 

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PA ALLA PARI: LA PARITÀ DI GENERE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

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«L’Italia ha il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa. Sfiora appena il 52%. Il differenziale rispetto al tasso di occupazione maschile è di 18 punti percentuali, anche qui il dato peggiore in Europa. Senza parlare dei divari territoriali. Nel Mezzogiorno solo un terzo delle donne lavora e, quel che è peggio, col passare del tempo non si registrano grandi progressi. Il Nord ha appena raggiunto il 60%, obiettivo che l’Europa si era dato per il 2010. Con la crisi del 2008 è aumentata la precarietà e il part time involontario che in Italia supera il 50% delle donne in part time, contro il 20% a livello europeo, aspetto che, in controluce, può delineare una possibile forma di discriminazione all’interno della coppia», sostiene Brunetta.

Inoltre, il rapporto tra i generi nella politica e nella Pubblica amministrazione non è ancora in equilibrio data la limitata presenza di donne in posizioni di vertice. Nelle Università e nella Sanità, settori a maggioranza femminile, risultano esserci poche ordinarie e pochi primari (superano di poco il 20%). Un termometro del divario che permane è il gender pay gap, cioè la differenza di genere nelle retribuzioni. In Italia è intorno al 6%, percentuale che supera il 15% nel settore privato. Il divario, inoltre, si amplia con l’età, a dimostrazione della difficoltà delle donne nel fare carriera. Claudia Goldin, la terza donna a fronte di novanta uomini a ricevere un premio Nobel per l’economia, ha evidenziato in modo puntuale la penalizzazione delle lavoratrici madri nel mercato del lavoro: solo il 6% delle donne lavora 50 ore a settimana rispetto al 20% degli uomini. In area Ocse il 54% delle donne tra i 25 e i 34 anni ha completato l’istruzione terziaria, a fronte del 41% degli uomini. Nonostante ciò, le donne sono sottorappresentate in professioni ad alto reddito. La sottorappresentazione femminile in professioni ad alto reddito contribuisce a una spirale negativa, alimentando e perpetuando gli squilibri esistenti.

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